GIANNI DE TORA |
CARTELLE /mostre personali |
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1983 Galleria Oggetto, Caserta 9-30 aprile |
ARTICOLO DI ENZO BATTARRA SULLA GAZZETTA DI CASERTA DEL 24.4.1983 |
"De Tora all'Oggetto" Il cerchio di gesso si spezza. L’antico rigore geometrico viene infranto, grazie a una continua e piacevole rielaborazione di linguaggi pittorici e visivi in genere. L’oltraggio alla geometria viene consumato anche da frammenti letterari riportati sulle tele come epitaffi. Spesso il protagonista è Leonardo, con i suoi scritti intorno alla pittura capaci di fermare il tempo e di dar vita all’inanimato.Le tele di Gianni De Tora diventano allora luogo della contaminazione cromatica e materica, luogo dell’incendio delle strutture formali e geometriche. Da una tensione verso le forme primarie c’è un continuo slittamento verso i materiali dell’apocalisse. Stratificazioni continue aprono il varco a spessori mentali impregnati di una lucida cultura della forma. Ed il discorso sulla pittura – “De Pictura”- è una costante che si svela di continuo: ogni traccia viene utilizzata da De Tora proprio per arricchire questa indagine estetica, ogni segno è la lettera di un alfabeto esclusivamente visivo. Il colore diviene materia insieme con la tela, con la carta, con il tessuto, con gli specchi, con i frammenti di materiali sintetici e con altro ancora.Il sogno dell’uomo, imprigionato sulle galassie del futuro, ricade sul ghiaccio di un carcere della memoria. Eppure il gesto, il primo gesto fu inventato da un pittore dell’assoluto. Ciò che va perduto è la filastrocca del tempo che scorre dai rubinetti sterili dell’incanto lunare. |
ARTICOLO DI GINO GRASSI SU NAPOLI OGGI DEL 4.5.1983 |
Personale del pittore all' “Oggetto” di Caserta
DE TORA : d'accordo intelletto e fantasia De Tora dà una nuova prova dell’evoluzione del suo talento pittorico ma, principalmente, della sua capacità di fare del rigore analitico il centro di ogni operazione artistica. Nella sua più recente apparizione (Caserta, Galleria “Oggetto”, presentazione sul catalogo di Carmine Benincasa) De Tora porta alle estreme conseguenze il proprio discorso sul segno (e implicitamente sul colore) , incentrando il suo giuoco apparentemente beffardo su principi enunciati da Leonardo, che rimane il punto di riferimento più importante per tutta la ricerca degli ultimi cinque secoli. Il bello è che la geometria che può sembrare il fine ultimo della ricerca di De Tora non è che soltanto un tramite (e neppure il più importante); essa serve soltanto al pittore per poter dimostrare che l’arte passa per tutte le porte e che scienza e ragione servono anche a dare un senso alla creatività. De Tora ama dare un senso globale alla propria ricerca, usando il commento della parola scritta (nel suo caso, pensieri di Leonardo) ma questo non mi pare che conduca ad una frattura della rappresentazione, come sostiene Benincasa nel testo in catalogo, che pure analizza con molta acutezza l’opera di De Tora, specie quando afferma che il recupero della geometria non è mai totale, che essa serve solo per fugare le ombre o meglio gli spettri di una facile figurazione di una disordinata gestualità, aggiungendo che in realtà è l’opera a farsi commento puntuale sul processo genetico dell’idea, a rivestire la dimensione lirico-immaginativa. Certo, l’opera stessa per De Tora è terreno di esperimenti sotto il civile controllo dell’intelligenza che, da un lato, spinge l’artista a concettualizzare e a non rimanere prigioniero di una metafisica della forma ( fine a sé stessa), da un’altra, lo aiuta a partire da certezze analitiche, per poi dispiegare il ventaglio della propria creatività nel senso voluto. E avviene una specie di prodigio: tutti gli elementi si fondono nell’unità dell’opera che, inglobate le plausibili contraddizioni, ridiventa protagonista del grande e affascinante mistero della creatività. In questa più recente ricerca il pittore recupera elementi naturalistici dando ad essi tuttavia un taglio di estremo rigore. Il caso, se esiste nelle investigazioni di questo artista, deve per forza ubbidire alla regola. |
ARTICOLO DI GIORGIO AGNISOLA SU IL MATTINO DI CASERTA DEL 17.4.1983 |
ALLO STUDIO OGGETTO |
foto di repertorio |
REDAZIONALE SU IL MATTINO DEL 19.4.1983 |
Espone dal 9 al 30 aprile allo «Studio Oggetto» di Caserta in via Redentore 10, il pittore Gianni De Tora presentato in catalogo da Carmine Benincasa. Gianni De Tora è nato a Caserta, ma le sue opere sono state presentate anche a Benevento, Roma. Firenze. Napoli, Milano ed all'estero: Barcellona, Stoccolma, Budapest. Di lui hanno scritto autorevoli critici come Gino Grassi, Filippo Menna, Ciro Ruju, Paolo Ricci, Vincenzo Piscopo e altri. E un giovane talento che non ha bisogno di presentazione e nulla si può aggiungere a quanto hanno già detto i critici che lo hanno presentato e che lo seguono con grande interesse. Dopo la personale allo «Studio Oggetto» di Caserta, Gianni De Tora si dedicherà a nuovi studi sulla pittura, arte che lo vede tra i più impegnati del momento. |
REDAZIONALE SU LE ARTI NEWS DI APRILE-MAGGIO 1983 |
Caserta -Gianni De Tora: Pittura come nuova realtà Lo studio Oggetto di Caserta ci propone una mostra di Gianni De Tora. L'artista insegue una forma “definitiva” che il tempo e gli eventi hanno relegato nell'ombra e nell'oblio. Ecco quindi il passaggio dalla dimensione onirica alla sua trasmutazione ontologica in forma e cioè al trasferimento del reale sul piano della verità. L'opera è “alfabeto dell'esperienza, laboratorio segnico quotidiano, strumentazione creativa di controllo......” |
TESTO DI CARMINE BENINCASA PRESENTE SUL CATALOGO |
Dietro a un mondo di apparizioni mutevoli Gianni De Tora insegue una forma “definitiva” che il tempo, gli eventi hanno relegato nell’ombra e nell’oblio. Attraverso l’”esprit de geometrie”, il rigorismo spinoziano, i kantiani filtri dell’intelletto, l’artista costruisce un ordine fra le cose, una gerarchia di segni e di colori, una sequenza logica della scansione temporale. Come in un sogno provocato, le nozioni si affastellano senza conseguenzialità, in cui le immagini, i segni, i colori subiscono dapprima il fascino dell’indeterminazione ma si fanno poi sostanza cromatica, linguaggio metaforico ed interpretativo. Siamo di nuovo di fronte al passaggio dalla dimensione onirica, che è una forma di traslato del reale, alla sua trasmutazione ontologica in forma, che è il trasferimento del reale sul piano della verità. Pittura come nuova realtà, più vera e meno mutevole dell’immagine esperibile quotidianamente in quanto struttura compiuta, liberata dalla casualità, regolata dallo strumento geometrico. Ma il recupero della geometria non è mai totale, essa serve solo per fugare le ombre, o meglio gli spettri di una facile figurazione di una disordinata gestualità. In realtà è l’opera a farsi commento puntuale sul processo genetico dell’idea, a rivestire la dimensione lirico-immaginativa. L’opera come alfabeto dell’esperienza, laboratorio segnico quotidiano, strumentazione creativa e di controllo, universo simbolico di percorrenza trascendentale, proiezione ideale, gioco estetico. De Tora sembra percorrere a ritroso il processo artistico del novecento, il quale tra gli altri parametri unifica nel segno pittorico immagine e contenuto. Egli opera una frattura della rappresentazione : da un lato la pittura, che indaga con i mezzi dell’astrazione geometrica il rapporto della forma , dall’altro la parola, che controlla e sviscera l’immaginario. La sua operazione linguistico-compositiva è una interrogazione sulla realtà quotidiana. Ad un esterno che si propone attraverso le moltiplicazioni delle immagini, la moltiplicazione della consistenza oggettuale, gli imput propagandistici tipici di una società opulenta e che tutto appiattisce nella meccanizzazione e collettivazione l’artista risponde, nel proprio isolamento, classificando la realtà secondo casellari di situazioni semplici, tipicizzabili e classificabili. E’ un sistema dedotto da regole geometriche a cui si assommano le alchimie della parola, l’ambiguità del filo e della sua ombra, il virtuosismo grafico, il tutto inserito in un contesto apparentemente logico in realtà più magico- intuitivo che rigorosamente euclideo, più ironico che sistematico, più tolemaico che evocativo. Come una ginnastica critico- visiva l’arte si fa strumento poetico di sconfinamento dall’”inferno cittadino”, ginnastica per un processo di allegorizzazione della realtà, arte per una percezione a “distanza interiore” della realtà stessa. |
foto di repertorio |
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